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A FOLIGNO, OLTRE LE COLONNE D'ERCOLE


FOLIGNO - Umano, sensibile, ignoto.
L'orizzonte che la Festa di Scienza e Filosofia – Virtute e Canoscenza apre a Foligno dal 10 al 13 aprile è un luogo da esplorare.
Uno spazio sconfinato che attrae, perché ci descrive: umano è il nostro essere, sensibile è la nostra reazione agli eventi, ignoto è il più profondo anelito della nostra essenza e il fine ultimo della nostra esistenza.
Il tema della IV edizione della Festa è un immenso territorio da indagare. Con due potenti strumenti: Scienza e Filosofia. Le discipline cui da sempre ci affidiamo per cercare risposte alle grandi domande che umano, sensibile e ignoto ci suscitano.

A FOLIGNO LA MADONNA DEL BOLIDE DI RAFFAELLO

Foligno – La Madonna di Foligno di Raffaello torna in città il 18 gennaio. L'opera del grande artista urbinate rientra dopo 217 anni nel luogo che l'ha ispirata. Sarà esposta nella chiesa del monastero di Sant’Anna, proprio da dove è stata sottratta nel 1797.
Il dipinto resterà a Foligno fino al 26 gennaio. La mostra aprirà al pubblico dalle 15:00 del 18 gennaio, dopo l'inaugurazione a Palazzo Trinci delle 12:00. Nei giorni successivi, ingresso gratuito ed orario di apertura lungo (dalle 9:00 alle 19:30), per consentire il più ampio accesso alle visite, guidate e della durata di 15 minuti in gruppi di 25 persone.

LA MEMORIA DEL TEMPO PROFONDO

Un piccolo corso d'acqua, quasi dimenticato, scorre nel cuore dei boschi dell'Umbria. E' il Menotre, custode di una grande testimonianza: la memoria del tempo profondo. La sua valle è stretta e rigogliosa, e non è facile scorgerla. Si può individuare solo osservando attentamente i rilievi alle spalle di Foligno.

WIKI LOVES UMBRIA

Tre scatti dall'Umbria vincono il più grande concorso fotografico di tutti i tempi - L'Umbria vince tre volte nel più importante concorso fotografico mai disputato. Si aggiudica due tra i dieci riconoscimenti che premiano il valore del patrimonio culturale d'Italia, con una veduta del lago Trasimeno da Punta Macerone (Tuoro sul Trasimeno, Pg) 

LA STORIA PIU' GRANDE DELL'UMBRIA


Con i suoi 8.456 chilometri quadrati di superficie, l’Umbria è una delle più piccole regioni d’Italia, e l’unica dell’area peninsulare a non essere lambita dal mare. Ma la natura e la varietà dei suoi paesaggi la rendono un luogo unico ed affascinante, in grado di raccontarci una storia coinvolgente e suggestiva che va ben al di là di ciò che la nostra nozione abituale di tempo può concepire.

LE DIVINE PROPORZIONI DELL'UMBRIA


La sezione aurea, Perugia, Leonardo da Vinci. Cosa hanno in comune? La storia, forse poco raccontata, di un grande matematico. Con un finale a sorpresa di divine proporzioni.

Perugia e la scuola di Pacioli - Siamo nel 1477. L'Università di Perugia, che non possiede ancora una scuola di aritmetica, inaugura la cattedra assegnandola a Luca Pacioli. E' un frate francescano di Sansepolcro, ma soprattutto un grande matematico, tanto che l'ateneo dell'allora veneziana città di Zara lo corteggia a tal punto da indurlo a lasciare l'Umbria dopo soli 3 anni. Ma Pacioli, sebbene conosciuto come personaggio burbero, nutre uno speciale affetto per Perugia, e ci torna nel 1486. Soggiornerà a lungo in città, insegnando in varie riprese all'università.
 

L'UMBRIA IN PRIMO PIANO PER GLI STUDI SULL'ANTIMATERIA


L'antimateria è anche umbra. L'esperimento spaziale, i cui primi risultati sono recentemente stati divulgati con dati incoraggianti per la ricerca dell'antimateria, è infatti coordinato dal fisico Roberto Battiston, professore ordinario di Fisica Generale all'Università di Perugia e fondatore del SERMS, il Laboratorio ternano per lo Studio degli Effetti della Radiazione sui Materiali per lo Spazio, dedicato alla caratterizzazione ed alla qualifica di materiali rivelatori da usare nello spazio.

QUANDO TECNICA, ARTE E NATURA SI INCONTRANO

Steve McCurry fotografa l'Umbria. E lei, come una smaliziata modella, si lascia immortalare nei suoi atteggiamenti più intimi.
E' un ritratto interiore quello che evidenzia la serie di scatti in mostra a Sensational Umbria!, in anteprima mondiale nel Cortile Napoleonico di Palazzo Brera a Milano. Un profilo simbolico, ma che sprigiona tutta la sua dirompente vitalità nei colori e nelle espressioni di un mélange di tradizioni e innovazioni, di cultura e popolarità. Una sequenza di immagini che incatena la vista nello sguardo limpido di una ragazza incontrata per strada, diffonde l'odore dei prati di montagna, e rilancia dagli anfratti delle architetture naturali di una grotta l'eco di una realtà che dimostra di saper suscitare emozioni.
 

LA SCORCIATOIA DI DARWIN: DA DJANGO A LINCOLN PASSANDO IN UMBRIA

Da Django a Lincoln, attraverso gli Appennini umbri, il passo è breve. Il paragone, delineato da Giulio Giorello in un recente articolo su La lettura del Corriere della Sera (http://lettura.corriere.it/debates/darwin-ha-scatenato-django/), traccia interessanti analogie fra l'eroe di Tarantino e il soggetto dell'ultimo lavoro di Spielberg. Il filo conduttore è Charles Darwin, il pioniere dell'evoluzionismo. Il percorso della Natura verso una meta misteriosa ed imprevedibile funziona anche su base sociale: Giorello evidenzia ispirazioni darwiniane in Django e Lincoln, e proietta il parallelismo fino ai giorni nostri con un volo radente che, planando su Obama, sfiora la società aperta di Popper. Ed è qui il passaggio in Umbria.


LA FINE DEL MONDO


Conosciamo la data dell'apocalisse: accadrà fra 7,59 miliardi di anni - Fra 7,59 miliardi di anni la Terra lascerà la sua orbita, risucchiata nel nebuloso vortice delle ceneri della stella che gli uomini chiamarono Sole, e troverà la sua fine. Il capitolo più cupo dell'annoso dibattito sul destino del mondo è stato scritto.

L'UMBRIA A CACCIA DI ANTIMATERIA

Se credete che antimateria, raggi cosmici e materia oscura siano esclusivo appannaggio dei supereroi, non avete tenuto in giusta considerazione i ricercatori dell'Università di Perugia e del Polo Scientifico di Terni.
Alcune fra le parti più sofisticate delle strumentazioni che serviranno a rilevare tracce di antimateria, e a determinare origine e composizione di materia oscura e raggi cosmici nello spazio, hanno il marchio “made in Umbria”. Rappresentano infatti il risultato di 15 anni di ricerche e sperimentazioni compiute dalla sezione di Perugia dell'Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (INFN), guidata dal professor Roberto Battiston, in stretta collaborazione con il laboratorio SERMS del polo scientifico di Terni, e con il gruppo di lavoro coordinato dal Premio Nobel Samuel Ting, che si avvale di studiosi in forza alla prestigiosa Università del Massachusetts (MIT) e al CERN di Ginevra.



GLI UMBRI DELL'ETA' DELLA PIETRA

IL PIU' GRANDE UOMO SCIMMIA DEL PLEISTOCENE – [...] Zia Nellie era stata resa vedova da un rinoceronte lanoso e zia Pamela detta Pam, da un Boa constrictor. "Ha provato a mangiarlo" lamentava zia Pam. "Io gliel'avevo detto che non poteva fargli bene. Ma mi ascoltava? Mai! Era come mangiarsi una biscia, diceva. Va be' almeno taglialo, prima, per l'amor del cielo! Macché, non ha voluto fare neanche questo. E solo perché gliel'avevo detto io, naturalmente. [...]. Nellie, Pam e le buonanime dei loro consorti, dipartiti in frangenti piuttosto originali per noi, ma oggetto di argomento colloquiale nel contesto di una comunità cavernicola di età pleistocenica, sono solo alcuni degli stravaganti parenti di Edward, un uomo dell'età della pietra molto, molto speciale. E degno di tutto rispetto.

LE UTOPIE DELLA TOPONOMASTICA DI PERUGIA

 
I perugini ci passano ogni giorno. Per loro rientrano nel quotidiano, fanno parte dell'ordinario. Ma, riflettendoci un po', vi pare normale camminare per via delle Streghe, o fermarsi a fare due chiacchiere in piazza del Drago? Sembrerebbero nomi appropriati per il mondo incantato di Harry Potter. E invece siamo a Perugia, citata recentemente dai media come una città che detiene un primato assai singolare: quello di una toponomastica urbana inconsueta e piuttosto originale.
Certo, ci sono anche qui le classiche vie intitolate a santi, statisti e caduti di guerra, ma accanto a queste si snodano vicoli e stradine dai nomi inusuali e bizzarri, che potremmo utilizzare alla stregua di un filo di Arianna per immaginare un tour a dir poco alternativo della  città.

LA BATTAGLIA EPOCALE DI GUALDO

GUALDO TADINO – 30 giugno 552. I gualdesi osservano attoniti due armate schierate sulla piana davanti al loro villaggio. Lo spettacolo che si dispiega ai loro occhi è impressionante: una moltitudine di soldati fra fanti, arcieri e cavalieri, è pronta a combattere. Fra poco avverrà lo scontro decisivo della guerra bizantina contro gli Ostrogoti, il popolo barbaro che ha conquistato la penisola dopo la caduta dell'Impero Romano d'Occidente. La famosa battaglia di Tagina, che decreterà la sorte dell'intero territorio italiano, sta per svolgersi proprio nei pressi dell'odierna Gualdo Tadino.

PIETRE DI FULMINE

TALISMANI MISTERIOSI E AFFASCINANTI - Chi di noi non è mai stato tentato dal misterioso fascino di possedere un talismano, scagli la prima pietra. Se la biblica citazione - nel contesto del mondo magico in cui è inserita - può sembrare quasi blasfema, una visita al Museo Archeologico Nazionale di Perugia dimostrerà che in realtà non è così irriverente. Oltre ad essere calzante anche da un punto di vista strettamente letterale. Molti degli amuleti esposti nella ricca collezione donata dallo scienziato perugino Giuseppe Bellucci, contengono infatti precisi riferimenti religiosi, e proprio le pietre sono fra i materiali prediletti utilizzati come portafortuna e scaccia-guai di ogni genere.
 


A PERUGIA PRANZI E APERITIVI CON LA FISICA

Perugia - Il 22 Giugno 1633, recitando l'abiura in ginocchio davanti ai suoi inquisitori, Galileo deve aver pensato che per lui non ci sarebbe stato un domani. Oggi, a più di 360 anni dalla sua morte, a Perugia si parla invece del suo futuro. L'ultimo dei seminari del ciclo “A pranzo con la Fisica”, trasformato in aperitivo in occasione del Perugia Science Fest, ha avuto come tema proprio “il futuro di Galileo”. Il professor Giulio Peruzzi, docente di storia della Fisica presso l'Università di Padova, ha coinvolto gli spettatori in un interessante viaggio attraverso gli elementi che hanno condotto all'evoluzione del metodo scientifico. Primo fra tutti, il rapporto fra teoria ed esperimento, che con Galileo è diventato il fondamento della Fisica moderna.
 

I GIGANTI D'ARGILLA

Avigliano Umbro - Un esercito di giganti intrappolati nel terreno. Possenti golem mummificati che emergono dall'argilla su uno sfondo grigio e desolato, e si stagliano imponenti contro un paesaggio lunare a testimonianza di un passato grandioso, che non vuole - e non deve - essere ancora una volta dimenticato.
Scoperta per la prima volta nel XVII secolo, poi scordata per quasi 400 anni, ed infine ritrovata alla fine degli anni '70, l'eccezionale foresta fossile di Dunarobba non riceve finanziamenti da più di un decennio, rischiando così di subire danni incalcolabili. La dottoressa Angela Baldanza, docente presso il Dipartimento di Scienze della Terra dell'Università di Perugia, ha recentemente condotto una ricerca sui fenomeni di mineralizzazione che stanno interessando alcuni dei tronchi esposti alle aggressioni atmosferiche. Ed ha riscontrato la presenza di solfuri di ferro, che – a contatto con acqua ed ossigeno – generano una sostanza altamente corrosiva: l'acido solforico, in grado di attaccare e distruggere la lignina che costituisce i tronchi, antichi di almeno 2,5 milioni di anni.


MOLTO RUMORE PER NULLA? NO...


...Al contrario. Il rumore può essere convertito in energia, per alimentare una nuova generazione di microdispositivi elettronici che serviranno praticamente a tutto. E' quanto ha dimostrato Luca Gammaitoni, professore associato al Dipartimento di Fisica dell'Università di Perugia, insieme al suo team di collaboratori.



TERREMOTI A CONFRONTO: Umbria 26/09/97 - Abruzzo 06/05/09

UGUALI MA DIVERSI - Cosa hanno in comune, e quali sono le differenze, fra i due sismi più devastanti che hanno sconvolto l'Italia negli ultimi 15 anni?
Ricordiamo tutti la scossa che il 26 Settembre del 1997, alle 11:40, mise in ginocchio l'Umbria. Era di magnitudo 5.9 sulla scala Richter. Nella scala Mercalli, fu giudicata di X grado, corrispondente alla definizione: “disastrosissima: numerose vittime umane, crollo di parecchi edifici, crepacci evidenti nel terreno”. L'evento era stato preceduto da una scossa di intensità quasi equivalente alle 2:33 del mattino dello stesso giorno, e da innumerevoli episodi minori fin dall'Aprile precedente, fra i quali spiccò - per magnitudo e danni provocati – quello del 12 Maggio con epicentro nell'area di Massa Martana.



GEOTURISMO: LA NUOVA FORMA DEL TURISMO CULTURALE

NASCE IN UMBRIA UN MODO TUTTO NUOVO DI CONCEPIRE IL TURISMO - Pensate se vi accompagnassero a fare un giro per Perugia, spiegandovi – davanti alla Fontana Maggiore – che le sue pietre ci possono addirittura raccontare la storia della formazione degli Appennini. Se - oltre ad illustrarvi le arti liberali, le figure bibliche ed i mesi dell'anno raffigurati negli stupendi bassorilievi di Nicola e Giovanni Pisano - vi facessero notare come le lastre che formano la vasca superiore della fontana siano fatte di una pietra umbra chiamata Rosso Ammonitico, che rende la nostra regione una delle mete obbligate di ogni paleontologo che si rispetti. Infatti, grazie alla straordinaria ricchezza e varietà in fossili di Ammoniti di questa particolare formazione rocciosa, è stato possibile accertare l'età delle rocce delle nostre dorsali montuose, e ricostruire l'ambiente marino in cui si sono formate. E non solo. Immaginate se vi raccontassero di come la rapida evoluzione di questi antichissimi molluschi, osservabile nella diversità di forme e di ornamenti delle loro conchiglie, rappresenti uno dei migliori esempi della selezione naturale ipotizzata da Darwin.


L'UMBRIA FA ACQUA DA TUTTE LE PARTI

Oltre a fiumi, laghi e cascate, conta infatti un numero elevatissimo di sorgenti, tanto che potrebbe essere definita a pieno titolo la “regione delle acque”. L'acqua sgorga fra le rocce, lungo i fossi e dentro le grotte. Alimenta torrenti e fiumi, forma polle e laghetti, e zampilla da innumerevoli fonti sparse in tutto il nostro territorio. E ognuna di queste acque ha qualità particolari e storie differenti, in cui tradizioni popolari e leggende si intrecciano ad osservazioni scientifiche, notizie di cronaca e fatti realmente accaduti.

LA PRIMA STREGA CONDANNATA AL ROGO ERA DI TODI

UN INSOLITO PRIMATO PER LA CITTA’ DI TODI - Il 20 di marzo ricorre l'insolito anniversario della messa al rogo di Matteuccia, strega tuderte condannata ad essere arsa viva dal tribunale laico della sua città. Correva l'anno 1428, quando gli abitanti di Todi - nel giorno che precede l'equinozio di primavera - venivano scossi dalle strazianti urla di una donna, legata mani e piedi su di una pira alla quale il Capitano della città aveva appiccato il fuoco.
Se Matteuccia avesse potuto immaginare che oggi, a una dozzina di giorni di distanza dalla sua crudele esecuzione, si celebra la festa della donna, sarebbe rimasta alquanto sconcertata dall'ironia che traspare dalla vicinanza di queste due date. Se poi avesse saputo che negli anni '90 – in base ad un autorevole ricerca universitaria - Todi sarebbe stata definita “la città più vivibile del mondo”, di certo avrebbe avuto qualcosa da obiettare, al riguardo. Ma da allora, ne è passata di acqua sotto i ponti. E – d'altro canto – anche per noi è difficile credere che la splendida e tranquilla città di Todi sia stata un tempo teatro di tali atrocità. Ma è tutto vero.
 
 

LE ISOLE PERDUTE DELL'UMBRIA





L'ISOLA CHE NON C'E' - L'Umbria ha sette isole. Senza contare quelle del Lago Trasimeno. Ed una di esse si trova addirittura fuori dai confini geografici della nostra regione. Sembra un controsenso, ma una spiegazione – anzi, una storia – c'è. E, come tutte le storie che sanno un po' di favola e leggenda, è bello farla iniziare così:
C'era una volta, tanto tempo fa, un piccolo villaggio fra le montagne, poco a Nord-Est di Città di Castello. Si chiamava Monte Ruperto. I suoi abitanti vivevano di quello che offriva la natura, ma sentivano la loro quiete minacciata dalle lotte che imperversavano fra le vicine province, nell'eterna rivalità che contrapponeva guelfi e ghibellini. Chiesero protezione al municipio di Apecchio, ma non ottennero aiuto. Allora si rivolsero alla potente Città di Castello, e giurando fedeltà ai tifernati, divennero una baronia del loro territorio. Ma tenersi fuori da guerre e ostilità, a quei tempi non era cosa facile. Città di Castello coinvolse la Baronia di Monte Ruperto nei suoi conflitti con Massa Trabaria, l'antica provincia pontificia corrispondente all'attuale comune marchigiano di Sant'Angelo in Vado. E poi nei contrasti con l'influente famiglia ghibellina degli Ubaldini, discendente da quel cardinale Ottaviano che Dante relegò all'inferno fra gli eretici, insieme a Federico II e a Farinata degli Uberti. Fino agli inizi del XV secolo comunque, tutti i territori a Nord di Città di Castello restarono sotto il controllo dei tifernati. Monte Ruperto quindi, non era ancora un'isola di territorio umbro nelle Marche: rappresentava solo l'ultima propaggine settentrionale del dominio tifernate in terra guelfa. Ma presto sarebbe rimasta isolata. Nel 1412, gli Ubaldini dovettero sottomettersi al dilagante potere della dinastia dei Montefeltro, signori di Urbino, cui la Chiesa avrebbe poco dopo concesso il Ducato, e fu così che Città di Castello perdette il dominio dei suoi territori più settentrionali. Solo Monte Ruperto gli rimase fedele, e pagò a caro prezzo questa dimostrazione di lealtà, rimanendo completamente isolato in territorio nemico.
Da allora in poi, le tracce della storia di Monte Ruperto si fanno sempre più deboli. Pare quasi che il borgo medioevale sia stato inghiottito nella nebbia che spesso ammanta gli Appennini, e riaffiori solo per breve tempo ogni molti anni, citato al margine di qualche vecchia pagina nei polverosi registri di archivio di Perugia o Città di Castello. Come Brigadoon - nell'omonimo film musical di Vincente Minnelli - il fantastico villaggio che appariva tra le nebbie delle highlands scozzesi una sola volta ogni 100 anni, Monte Ruperto sembra un luogo magico, e chissà che non valga anche in questo caso l'incantesimo su cui si dipanava l'intreccio del film. Là, nessuno degli abitanti poteva lasciare il villaggio, altrimenti esso sarebbe scomparso per sempre. Qui, l'ultimo censimento rileva un luogo disabitato. E se provate a guardare le immagini da satellite, non vedrete altro che boschi. Ma l'antico borgo medioevale ha voluto comunque lasciare una nobile traccia di sé, pregiando ancor oggi Città di Castello, nella persona del suo primo cittadino, dell'aristocratico titolo di Barone di Monte Ruperto.

LE ALTRE 6 ISOLE - Monte Ruperto è l'unica isola amministrativa regionale dell'Umbria. E' un'area di 2,7 chilometri quadrati di estensione, al di fuori dei confini geografici della nostra regione, e completamente compresa in territorio marchigiano. E' situata a circa 30 chilometri a Nord-Est di città di Castello, nel versante adriatico dell'Appennino, ed è circondata dai comuni di Apecchio e Sant'Angelo in Vado, entrambi in provincia di Pesaro e Urbino. La sua storia è un esempio di come i confini nati in circostanze particolari possano perdurare anche al cessare dell'originario contesto storico. L'Umbria è una regione priva di limiti naturali ben definiti, e rappresenta un mosaico di territori con differenti caratteri storici, culturali e fisici. La sua geografia amministrativa è di conseguenza storicamente piuttosto instabile, come dimostrano le ripetute variazioni dei confini esterni, e le modifiche nelle ripartizioni interne. In passato, il termine Umbria ha designato un territorio dai contorni ben differenti da quelli attuali. Ad esempio, il territorio eugubino è appartenuto per lungo tempo alla provincia pontificia di Pesaro e Urbino, mentre quello orvietano faceva parte della provincia del Patrimonio, e solo nel 1831 fu costituito in delegazione a sé stante. La Sabina poi, ora parte del Lazio, è stata territorio umbro fino al 1923. Dal 1861 ad oggi, la nostra regione ha registrato inoltre una cinquantina variazioni nei confini interni, fra le quali vari passaggi di frazioni da una provincia o da un comune all'altro. In questo contesto si inquadrano le 6 isole amministrative interne all'Umbria: 5 di tipo comunale ed una provinciale. In questi casi, le aree in questione sono chiamate isole in quanto interamente circondate da territori appartenenti ad altri comuni o province.

A livello di popolazione residente, soltanto Monte Ruperto e Caio (isola comunale appartenente ad Attigliano, ma compresa dentro il Comune di Giove) risultano disabitate. I dati dell'ultimo censimento assommavano gli abitanti delle isole amministrative umbre a 705 abitanti, pari a circa lo 0,09% dell'intera popolazione regionale. Caio, con i suoi 0,6 chilometri quadrati, ha anche il primato di essere la più piccola isola amministrativa dell'Umbria, mentre Poggio (facente parte del Comune di Otricoli, ma compresa in quello di Narni) è la più grande, con 15,1 chilometri quadrati di superficie. Lo scarso peso demografico di questi territori va inquadrato alla luce dei forti fenomeni emigratori che li hanno interessati nella seconda metà del secolo scorso. Fino al 1951, i residenti delle isole amministrative umbre erano infatti più di 1600.
Daniela Querci (da: il Corriere dell'Umbria - 02/03/2009)

IN UMBRIA LE PROVE DELLA SELEZIONE NATURALE DI DARWIN




PERUGIA - L'Umbria vanta uno degli esempi più belli fra le prove a sostegno della teoria evoluzionistica di Darwin. E nel 200° anniversario della nascita del grande scienziato inglese (il 12 Febbraio 1809) è appropriato ricordarlo. Tanto più che ancora oggi esistono forme di scetticismo riguardo l'evoluzione darwiniana, nonostante una mole schiacciante di dati continui a dare splendide conferme, estensioni ed approfondimenti della rivoluzione scientifica innescata da Darwin con il suo trattato l'Origine delle specie.
LA SELEZIONE NATURALE NEI FOSSILI DEGLI APPENNINI – Gli ammoniti dell'Appennino Umbro-Marchigiano, conservati presso il dipartimento di Scienze della Terra dell'Università di Perugia, rappresentano un modello molto chiaro dell'azione della selezione naturale nel contesto dell'evoluzione. Passando dagli strati di roccia più antichi a quelli più recenti, i fossili di queste creature marine mostrano forme man mano differenti. I loro gusci diventano gradualmente sempre più aerodinamici, in un adattamento funzionale al loro ambiente di vita che rappresenta l'espressione dell'evoluzione attraverso ciò che Darwin definì la selezione naturale. Gli ammoniti che presentavano le caratteristiche più vantaggiose per la vita hanno avuto una maggiore probabilità di sopravvivenza e quindi di riproduzione. Queste qualità, essendo ereditarie, sono state tramandate alle generazioni successive, e si sono diffuse nella popolazione di questi antichi esseri viventi, mentre i tipi che possedevano caratteristiche meno favorevoli al loro ambiente di vita si sono estinti. E' il concetto della selezione naturale, il pilastro su cui si fonda la moderna biologia.
LE CONFERME DELLA GENETICA E L'ORIGINE COMUNE DELLE SPECIE – La biologia molecolare e la genetica hanno avviato quello che oggi viene definito il neo-darwinismo. Hanno ampliato e confermato le intuizioni di Darwin, basate sulle espressioni visibili che la selezione naturale attua sugli individui. Di fatto, lo studio dei genomi (i patrimoni genetici di ogni forma di vita) ha permesso di verificare a livello molecolare le teorie di Darwin, arrivando a comprendere anche i meccanismi microscopici attraverso i quali la selezione naturale opera nel contesto dell'evoluzione. E non solo. La genetica ha dimostrato anche come alcuni geni identici, denominati immortali, appartengano al patrimonio genetico di ogni essere vivente, dagli organismi unicellulari all'uomo, confermando così l'origine comune della vita. Quando è nata, la vita sulla Terra era indifferenziata. E' l'evoluzione che ha creato la diversificazione, ma l'origine primaria è comune. Adesso sappiamo che la specie umana si è separata circa 5-8 milioni di anni fa dal ramo evolutivo che ha condotto alla comparsa degli scimpanzé, con i quali ancora oggi condividiamo il 98% del patrimonio genetico.
LE INTUIZIONI ED I TIMORI DI DARWIN – Alla fine del 1700 la teoria predominante era ancora quella che definiva le varie specie come entità create indipendentemente l'una dall'altra, ed incapaci di modificarsi. Secondo questa visione, le specie non avevano mai avuto un'origine comune. I primi dubbi concreti iniziarono a sorgere all'inizio del XIX secolo, con le osservazioni paleontologiche: negli strati rocciosi più antichi infatti mancano completamente fossili degli esseri attualmente viventi, e se ne rinvengono altre appartenenti ad organismi ora estinti. Ma passarono altri cinquant'anni prima che Darwin formulasse la sua dirompente teoria evoluzionista. Il naturalista Inglese si convinse che la “lotta per la vita” fosse uno dei motori principali dell'evoluzione, intuendo il ruolo selettivo dell'ambiente sulle specie viventi. Secondo Darwin, il ruolo primario nel processo di evoluzione è dato dalle mutazioni genetiche, in gran parte casuali. L'ambiente entra in azione in un secondo momento, nella determinazione del vantaggio o svantaggio riproduttivo che quelle mutazioni inducono nella specie mutata, o - in altre parole – nella loro migliore o peggiore capacità di adattamento. Ma comprese anche che le sue teorie contenevano risvolti filosofici che avrebbero suscitato questioni ancora più grandi di quelle puramente scientifiche, e indugiò molti anni sui suoi studi, prima di renderli pubblici. Le implicazioni delle sue osservazioni andavano al cuore delle riflessioni sulla condizione umana, sul significato generale riguardo la “collocazione dell'uomo nella natura”. E, in questo senso, gli sembravano quasi paragonabili “alla confessione di un delitto”. Aveva ragione anche in questo. Sin dalla prima pubblicazione, nel 1859, l'Origine delle specie suscitò accesi dibattiti e scontri di pensiero. Che, in alcuni ambiti, si protraggono ancora oggi, dopo 150 anni. Basti pensare che solo nel 2008 la Chiesa Anglicana ha cambiato opinione sulle teorie evoluzionistiche di Darwin, con una lettera indirizzata in prima persona al grande scienziato, in cui chiede scusa per aver “frainteso” la sua teoria dell'evoluzione, fino ad allora aspramente criticata.
EVOLUZIONE OSSERVABILE – La teoria evoluzionistica di Darwin trova conferma e applicazione anche in campo medico. Infatti, fra i pochi fenomeni di evoluzione osservabili alla scala del tempo umano, c'è quello dei batteri. A causa dei loro cicli vitali estremamente brevi, queste forme di vita rappresentano un modello perfetto per osservare i cambiamenti evolutivi che si succedono di generazione in generazione. L'interesse medico è dato dal fatto che l'evoluzione è causata dalle terapie antibiotiche, e si concretizza in una progressiva resistenza dei batteri a questo genere di farmaci. I batteri, come ogni altra specie vivente, mutano. Solo che lo fanno molto velocemente. Le mutazioni che in qualche modo rendono i batteri più resistenti agli antibiotici, rappresentano le caratteristiche favorevoli del concetto darwiniano di selezione naturale, e pertanto si diffondono nelle generazioni batteriche successive. Per questo è necessario utilizzare sempre antibiotici di nuova generazione per assicurare trattamenti efficaci. L'uso diffuso degli antibiotici induce l'evoluzione di ceppi batterici più resistenti, con la conseguenza della diminuzione di efficacia delle terapie antibiotiche. L'introduzione di un nuovo e più potente antibiotico non fa che riproporre lo schema già descritto: tra le infinite mutazioni ve ne saranno sempre alcune che daranno un vantaggio riproduttivo agli individui che le hanno subite. Anche i virus mutano rapidamente, producendo sempre nuovi ceppi, il che rende molto impegnativo cercare di contrastarli. Produrre vaccini definitivamente efficaci contro l'influenza è difficile proprio a causa dei tempi di mutazione del virus, talmente brevi da essere paragonabili ai tempi necessari per mettere in commercio un vaccino.
LA PIU' GRANDE MOSTRA MAI REALIZZATA – Molte sono le manifestazioni e gli eventi programmati in Italia in occasione del bicentenario della nascita di Darwin. Le celebrazioni si sono aperte a Roma l'11 Febbraio, con un convegno internazionale promosso dall'Accademia dei Lincei, di cui Darwin venne eletto socio nel 1875. La mostra più importante è senz'altro quella inaugurata, sempre l'11 Febbraio, al Palazzo delle Esposizioni di Roma, dove proseguirà fino al 3 Maggio. “Darwin 1809-2009” sarà poi a Milano (dal 4 Giugno al 25 Ottobre), ed infine a Bari (dal Novembre 2009 al Marzo 2010). E' la più importante mostra rivolta al grande pubblico mai dedicata al padre dell'evoluzione. Raccoglie e intreccia i linguaggi della storia, della narrazione, delle scienze naturali, della filosofia della scienza e delle ricerche sperimentali contemporanee più avanzate, per introdurre il visitatore alla teoria dell'evoluzione, accompagnandolo in un viaggio stupefacente che approda infine alla formulazione della teoria per cui Darwin divenne famoso, la selezione naturale come motore del cambiamento in natura.
Daniela Querci - 23/02/2009

RICERCA UMBRA: DAL TABACCO UN VACCINO CONTRO IL DIABETE




PERUGIA - Produrre un vaccino per il diabete utilizzando il tabacco. E' l'obiettivo di Alberto Falorni, medico e ricercatore al Dipartimento di Medicina Interna dell'Università di Perugia, che da più di dieci anni lavora a questo ambizioso progetto. Ed è un progetto molto promettente, anche se il traguardo – tiene a sottolineare il Dottor Falorni – è ancora lontano. Nel campo della medicina è sempre doveroso premettere chiaramente quale sia lo stato di avanzamento della ricerca, specialmente in casi come questo, in cui si ha a che fare con malattie che colpiscono in particolar modo bambini e adolescenti, e che quindi coinvolgono più di altre - anche dal punto di vista emotivo - le famiglie dei malati. Ma i risultati ottenuti finora sono brillanti nel contesto della ricerca internazionale.
IN LOTTA CON SE STESSI – Il Dottor Falorni ebbe l'idea di utilizzare le piante di tabacco, modelli biologici semplici, per produrre proteine umane di interesse medico. A tale scopo, si stabilì nel 1996 una collaborazione con il Professor Mario Pezzotti, a quel tempo ricercatore presso la Facoltà di Agraria dell’Università di Perugia. Nei primi studi, però la produzione di GAD65 dal tabacco era molto bassa. Si esprimeva solo per lo 0,05 % della produzione totale di proteine della pianta. Troppo poco per permettere uno sfruttamento a livello farmacologico. Studi successivi innovativi condotti in collaborazione con l'Università di Verona, dove il Prof. Pezzotti lavora attualmente, hanno permesso di ottimizzare il metodo per modificare geneticamente gli organismi vegetali, ottenendo una produzione di GAD65 del 4-5% dalle foglie di tabacco, e del 20% dai semi di alcune altre piante. Il 17 dicembre scorso è stata inaugurata Officina Biotecnologica, una società in collaborazione con l’Università di Verona, che permetterà di sviluppare questo innovativo ramo della genetica agraria in collaborazione con l’equipe del Dr. Falorni, di cui fanno parte anche il Drottor Filippo Calcinaro e la Dottoressa Annalisa Brozzetti. Nello stesso tempo, è stato depositato il brevetto per la produzione di GAD65 dal tabacco. Il lavoro futuro di Officina Biotecnologica consisterà nell'ottimizzare la produzione della proteina, ottenendo i migliori risultati possibili con un processo che si sta dimostrando tanto efficiente quanto economicamente vantaggioso.
DALLE PIANTE DI TABACCO – Il nostro sistema immunitario – che ha la funzione di neutralizzare i virus – funziona con un meccanismo del tipo chiave-serratura. Ogni serratura (anticorpo) ha una chiave diversa, chiamata antigene, che in generale rappresenta qualunque forma di corpo estraneo al nostro organismo. Nel caso dei virus dell'influenza, gli antigeni sono le proteine che avvolgono e proteggono il materiale genetico. Quando il nostro corpo viene in contatto con antigeni che già conosce, le serrature in grado di accogliere quelle specifiche chiavi sono già pronte. Il meccanismo si attiva subito, le serrature si chiudono, e il virus non è più in grado di utilizzare le nostre cellule per replicarsi. Ma se le chiavi sono anche soltanto leggermente diverse, le serrature non funzionano più. Devono esserne create di nuove. E il processo di produzione di nuovi anticorpi, specifici per gli antigeni sconosciuti, non è immediato. Nel frattempo il virus può agire indisturbato all'interno del nostro organismo. Essere ospitato nelle nostre cellule, ed utilizzarle – alterando la loro originaria funzione o addirittura uccidendole – per replicarsi. A questo punto, il nostro organismo potrebbe già essere così pesantemente compromesso nelle proprie attività fondamentali, da non poter più contrastare lo sviluppo e il dilagarsi dell'infezione.
COLLABORAZIONI E POSSIBILI APPLICAZIONI – Nel prossimo futuro, Falorni ed i suoi colleghi prevedono una possibile collaborazione con un'azienda svedese che da qualche anno sta effettuando test di somministrazione della GAD65 su bambini ai primi stadi della malattia, al fine di ritardare la progressione della malattia e preservare la funzione residua delle cellule beta del pancreas. Il sistema di produzione della proteina utilizzato dagli svedesi ha un costo elevatissimo (si parla di 700.000 Euro al grammo), mentre il team italiano è in grado di fornire una soluzione a basso costo. Se i risultati clinici ottenuti dagli svedesi venissero confermati, Officina Biotecnologica avrebbe tutte le basi per pensare alla produzione di un vaccino, che potrebbe in futuro interessare milioni di giovani in tutto il mondo. Per ottenere l'intero fabbisogno mondiale di GAD65 con il processo brevettato dai nostri ricercatori, basterebbero pochi vivai di piante geneticamente modificate. Inoltre, questo studio pionieristico di genetica agraria apre una vasta gamma di possibilità per ulteriori applicazioni in campo medico. Soprattutto nell'ambito delle malattie autoimmuni. Quando la sostanza che innesca la reazione del sistema immunitario viene introdotta nell'organismo dall'esterno, in opportune quantità e attraverso adeguate vie di somministrazione, si modifica la risposta del sistema immunitario e si può ridurre o bloccare lo sviluppo della malattia. Una volta identificate le sostanze prodotte dal corpo umano che innescano la risposta autoimmunitaria, si può quindi analizzare la possibilità di produrle nelle piante, per verificarne la risposta clinica alla somministrazione.
I FATTORI AMBIENTALI DEL DIABETE DI TIPO 1 IN UMBRIA - Il diabete di tipo 1 si manifesta preferenzialmente nei giovani al di sotto dei 30 anni. E' una malattia che presenta delle caratteristiche ereditarie, ma sembrerebbe che anche fattori ambientali possano influenzarne lo sviluppo. Per questo motivo, la Regione dell'Umbria ha attivato un registro epidemiologico del diabete mellito di tipo 1 (DMT1), in collaborazione con il Servizio Regionale di Diabetologia Pediatrica. In questo registro vengono raccolti tutti i dati relativi ai casi di diabete presenti nella nostra regione. Nel periodo compreso fra il 1991 ed il 2001, il tasso di incidenza annuo della malattia è risultato di 12 nuovi casi ogni 100.000 abitanti, con differenze minime nelle due fasce di età comprese fra 0-14 anni e 15-30 anni. Il confronto con i dati provenienti da altre aree indica che in Umbria i tassi di incidenza della malattia sono molto simili a quelli di altre regioni del centro Italia, come le Marche, ma nettamente più alti rispetto a zone geograficamente differenti, come la Campania. Nell'Italia centrale inoltre, lo sviluppo del diabete di tipo 1 risulta maggiore nelle aree ad alta urbanizzazione rispetto a quelle rurali. Il continuo aggiornamento dell'archivio, possibile grazie alla capillarità nella raccolta dei dati, ed alla loro verifica ed integrazione con dati epidemiologici, fornisce in Umbria un ulteriore e prezioso punto di partenza per la comprensione e lo studio della malattia.
Daniela Querci (da: il Corriere dell'Umbria - 09/02/2009)

L'UMBRIA HA L'INFLUENZA



PERUGIA - Quest'anno l'Umbria è una delle regioni più colpite dall'influenza. I dati dell'Istituto Superiore della Sanità, riferiti all'ultima settimana di rilevamento (12-18 Gennaio), registrano nella nostra regione un'incidenza di 7,82 casi ogni 1000 persone. Siamo al quarto posto, dopo Marche (10,13 casi per mille), Friuli (8,35) e Veneto (7,87). E l'epidemia è in crescita. Ha già messo a letto 1,3 milioni di italiani, e il picco massimo dovremmo averlo da questi giorni in poi, fino a tutta la prima metà di Febbraio. Come accade in ogni stagione invernale, rischiamo quindi di passare almeno 3 o 4 giorni a letto, con febbre accompagnata da una serie di altri sintomi influenzali. Ma vi siete mai chiesti perché continuiamo a prendere l'influenza? Il nome deriva dall'idea che la malattia fosse originata da un qualche influsso astrologico sul nostro corpo. Oggi siamo molto lontani da questi antichi concetti, e conosciamo la causa dell'infezione: i virus. Il sostantivo - in questo caso - è molto più appropriato, ed ha un significato allarmante. E' un termine latino che tradotto letteralmente vuol dire veleno, e contiene la radice vir, simbolo di forza prorompente come nell'aggettivo virile, ma in questa accezione indicativo delle sue sfumature più negative.
VIRUS: VITA (O NON VITA) IN PERENNE MUTAZIONE – I virus sono strani sistemi biologici. Innanzitutto è ancora in discussione la loro appartenenza o meno alla categoria dei viventi. Possiedono un patrimonio genetico, il che indurrebbe a collocarli fra gli organismi, ma per altri versi non possono essere definiti vivi. La loro caratteristica principale è che non hanno la capacità di riprodursi autonomamente. Sono parassiti obbligati, cioè devono entrare all'interno di una cellula estranea per potersi riprodurre. Nella maggior parte dei casi, la struttura dei virus è molto semplice. Quelli dell'influenza fanno parte di una famiglia composta semplicemente da piccole sequenze di materiale genetico (RNA), e da un involucro formato da proteine che protegge i geni. Quello che li rende così insidiosi, è che sono molto frequentemente soggetti a dei piccoli, ma significativi, cambiamenti. L'RNA subisce delle mutazioni, e anche le proteine vanno incontro a delle modificazioni, o vengono sostituite da proteine diverse. Queste variazioni sono sufficienti per determinare nuovi ceppi virali, che il nostro organismo non è in grado di fronteggiare in modo immediato.
ANTICORPI E ANTIGENI: SERRATURE E CHIAVI – Il nostro sistema immunitario – che ha la funzione di neutralizzare i virus – funziona con un meccanismo del tipo chiave-serratura. Ogni serratura (anticorpo) ha una chiave diversa, chiamata antigene, che in generale rappresenta qualunque forma di corpo estraneo al nostro organismo. Nel caso dei virus dell'influenza, gli antigeni sono le proteine che avvolgono e proteggono il materiale genetico. Quando il nostro corpo viene in contatto con antigeni che già conosce, le serrature in grado di accogliere quelle specifiche chiavi sono già pronte. Il meccanismo si attiva subito, le serrature si chiudono, e il virus non è più in grado di utilizzare le nostre cellule per replicarsi. Ma se le chiavi sono anche soltanto leggermente diverse, le serrature non funzionano più. Devono esserne create di nuove. E il processo di produzione di nuovi anticorpi, specifici per gli antigeni sconosciuti, non è immediato. Nel frattempo il virus può agire indisturbato all'interno del nostro organismo. Essere ospitato nelle nostre cellule, ed utilizzarle – alterando la loro originaria funzione o addirittura uccidendole – per replicarsi. A questo punto, il nostro organismo potrebbe già essere così pesantemente compromesso nelle proprie attività fondamentali, da non poter più contrastare lo sviluppo e il dilagarsi dell'infezione.
VACCINI E BIOGENETICA: LE NOSTRE ARMI – Il virus dell'influenza di quest'anno è fra i più insidiosi. Si tratta del tipo A, sottotipo H3N2, analogo a quello che causò la pandemia influenzale classificata Hong Kong – dal luogo di origine geografica - nel 1968. A quei tempi, l'influenza provocò quasi 1 milione di vittime, in parte perché i farmaci in grado di curare la malattia e le infezioni secondarie scatenate dal virus erano meno efficaci di quelli attuali, e in parte perché non erano disponibili vaccini. Adesso i vaccini ci sono. Anche se la caratteristica dei virus di mutare continuamente non permette ancora la messa a punto di un vaccino permanente che possa essere praticato a tutta la popolazione, e debellare definitivamente la malattia, ogni anno vengono preparati nuovi vaccini, sulla base delle informazioni ottenute dai virus precedenti. Alcuni sono composti soltanto da antigeni. In questo caso, ci viene inoculato solo il rivestimento esterno del virus, e non il suo materiale genetico, che è il vero responsabile dei danni arrecati al nostro organismo. Ma gli antigeni rappresentano quanto basta al nostro sistema immunitario per produrre gli anticorpi specifici, ed essere in grado di bloccare il virus corrispondente a quei determinati antigeni, nel caso cercassero di attaccare le cellule del nostro corpo. Altri vaccini invece, contengono il materiale genetico del virus, ma in forma inattiva. L'RNA virale viene modificato attraverso le tecniche della bioingegneria genetica, in modo che non possa alterare le funzioni primarie delle nostre cellule. In questo modo, nel tempo che il nostro sistema immunitario impiega a completare la produzione degli anticorpi specifici, il virus non è in grado di aggredire le nostre cellule per replicarsi.
La più devastante pandemia influenzale che si ricordi fu la Spagnola. Fra il 1918 e il 1920 si diffuse in tutto il mondo, provocando dai 40 ai 100 milioni di morti. Si trattava sempre di influenza di tipo A, ma il sottotipo era H1N1. Oggi, nei laboratori di biogenetica – sottoposti ai più rigidi protocolli di sicurezza – il virus della Spagnola è stato geneticamente modificato, combinando i suoi geni con quelli di alcuni ceppi virali attuali. Questo, allo scopo di comprendere per quali ragioni e in quale modo la Spagnola si dimostrò così altamente letale. Svelare i meccanismi con i quali si propaga una infezione di tale virulenza è di importanza fondamentale per prevenire nuove e così gravi epidemie mondiali. I più recenti risultati in merito, indicano che la Spagnola fu in grado di provocare infezioni profonde - come emorragia ed edema polmonare acuti - in modo diretto, e non in fase secondaria, come può accadere solo in soggetti già debilitati, quando all'infezione virale primaria ne subentra una batterica.
Daniela Querci (da: il Corriere dell'Umbria - 26/01/2009)

IGNAZIO DANTI: VESCOVO PERUGINO GENIO DELL'ASTRONOMIA



PERUGIA - Il calendario che tutti noi utilizziamo è opera di un grande astronomo perugino. E non c'è migliore occasione per ricordarlo che l'Anno Internazionale dell'Astronomia, inaugurato ufficialmente a Parigi giovedì scorso. Ignazio Danti – vescovo domenicano nato a Perugia nel 1536 - è stato il principale fautore della riforma gregoriana del calendario, un ardito progetto scientifico del XVI secolo, talmente perfetto da essere ancora oggi lo strumento adottato da gran parte dei paesi del mondo per scandire il tempo.
IL SALTO DEI 10 GIORNI – Il calendario utilizzato ai tempi di Ignazio Danti era quello giuliano. Ma secondo questo metodo la Pasqua, calcolata in base alla data stabilita al consiglio di Nicea per l'equinozio di primavera, con il passare dei secoli cadeva sempre più lontana dal fenomeno astronomico reale. Nel 1582, l'equinozio astronomico e quello convenzionale differivano di ben 10 giorni. Danti si rese conto che di questo passo la Pasqua sarebbe presto andata a finire in estate. Fece notare la cosa al pontefice, papa Gregorio XIII, e lo convinse con argomentazioni scientifiche inoppugnabili. Il papa decise allora di applicare la riforma al calendario, e nominò una commissione di esperti, fra i quali lo stesso Danti, per sistemare le discrepanze. Non fu cosa facile, ma i complicatissimi calcoli vennero ultimati e il passaggio dal metodo giuliano a quello gregoriano avvenne di colpo. Gli uomini che si coricarono la sera del 4 Ottobre 1582 (secondo il calendario giuliano), poche ore dopo si risvegliarono quasi magicamente nel 15 Ottobre 1582. Il calendario gregoriano entrò in vigore in questa storica data in Italia, Francia, Spagna, Portogallo e in altri paesi cattolici, e nei 5 anni successivi molte altre regioni europee aderirono al metodo ideato da Danti. Gli stati di religione luterana, calvinista ed anglicana, dovettero invece aspettare fino al XVIII secolo per uniformarsi, ed i paesi ortodossi abbracciarono la riforma ancora più tardi. In Svezia, per evitare il brusco salto dei 10 giorni effettuato negli altri paesi, si decise di applicare gradualmente la riforma gregoriana. Ma questo condusse ad una serie di “pasticci temporali” che culminarono in un anno doppiamente bisestile, il 1712, in cui è segnata la stravagante data del 30 di Febbraio. Oggi, il calendario solare proposto da Ignazio Danti viene confrontato con quello siderale, basato su stelle diverse dal Sole, ed ulteriormente raffinato su questa base. E' da qui che deriva il tanto declamato secondo in più, applicato il 31 Dicembre scorso agli orologi di tutto il mondo allo scoccare della mezzanotte. Si chiama “secondo bisestile” o “secondo intercalare”, e non è la prima volta che ci viene messo in conto. Dal 1972 ad oggi, è infatti la 24esima volta che viene aggiunto, ma rispetto al salto dei 10 giorni del 1582 è un' anomalia temporale del tutto accettabile. Per non parlare poi, di quando entrò in vigore il calendario giuliano (nel 46 a.C.): per passare al suo metodo, Giulio Cesare dovette infatti allungare l'anno di ben 90 giorni.
UNA VERSATILE ED EREDITARIA GENIALITA' – La genialità di Ignazio Danti non si espresse solo nella riforma gregoriana. Nel campo astronomico, fu un valente costruttore di strumenti per localizzare e predire la posizione dei corpi celesti, come l'astrolabio. Costruì anche apparecchi per effettuare complessi calcoli matematici, e anemoscopi per indicare la presenza e la direzione del vento, parti dei quali sono ancora oggi conservate nel museo archeologico di Perugia. Fu inoltre un valente cartografo. Realizzò mappe dettagliate della città di Perugia e carte del contado perugino, e per la splendida galleria delle Carte Geografiche, nei musei vaticani, disegnò 40 mappe geografiche di regioni e città italiane, che vennero poi affrescate da vari artisti. Collaborò alla ristrutturazione del porto di Fiumicino, e venne nominato a sovrintendere alla traslazione dell'obelisco vaticano, che il papa desiderava portare in asse con la basilica. Ancora oggi si possono ammirare i punti dei solstizi e degli equinozi segnati da Danti alla base dell'obelisco, che utilizzò come la punta di stilo di una grandiosa meridiana. Al tempo della sua morte, avvenuta a soli 50 anni, stava lavorando ad un imponente progetto ingegneristico: la realizzazione di un canale che doveva collegare la città di Firenze sia al Tirreno che all'Adriatico, tramite una serie di chiuse, laghi artificiali e gallerie appenniniche. La quantità di opere concepite e realizzate dal vescovo domenicano in un lasso di tempo così breve è stupefacente. Ma Ignazio ebbe una discendenza a dir poco creativa e originale. La sua genialità nel campo delle scienze è stata sicuramente influenzata e coltivata in un contesto familiare del tutto particolare. Nel XV secolo, i capostipiti della sua genealogia - Pier Vincenzo e Giovanni Battista Rinaldi - furono valenti matematici, fisici e poeti. Lo spessore culturale dell'intera famiglia era talmente conosciuto ed apprezzato sia all'interno che al di fuori della nostra regione, che i Rinaldi vennero soprannominati Danti, per una sorta di affinità elettiva con il divin poeta, tanto che alla fine l'appellativo sostituì il cognome originario della discendenza. Giovanni Battista costruì addirittura un marchingegno che lo rendeva in grado di volare. Una specie di ali piumate da adattare al corpo, con le quali si dice che abbia sperimentato parecchie volte il volo sul Trasimeno. Nel 1498, in occasione delle nozze di una componente della prestigiosa famiglia perugina dei Baglioni, si sarebbe librato sopra la città per onorare gli sposi, ma una brutta caduta dovuta alla rottura del supporto metallico di un'ala gli avrebbe procurato la frattura ad un femore. Teodora, zia di Ignazio, fu matematica e pittrice, e suo fratello Vincenzo un notevole architetto e scultore. La sua opera maggiore è la statua di Giulio III, collocata sulla scalinata del Duomo di Perugia.
2009: L'ANNO INTERNAZIONALE DELL'ASTRONOMIA – L'Anno Internazionale dell'Astronomia, promosso dall'Unione Astronomica Internazionale (IAU) e patrocinato dall'UNESCO, cade nel 400entesimo anniversario delle prime osservazioni effettuate da Galileo con il cannocchiale. Il tema comune alle innumerevoli manifestazioni programmate in tutto il mondo è “L'Universo: a te scoprirlo”. Quasi un invito a tornare ad osservare il cielo stellato per ricordare le origini delle nostre conoscenze e la nostra evoluzione culturale, in modo da prepararsi scientificamente, ma anche spiritualmente, all'incontro con le nuove frontiere della conoscenza. In Italia – dove si svolgerà la cerimonia conclusiva, il 6 Gennaio 2010 – sono in programma anche molte attività, dedicate principalmente agli studenti e a tutti coloro che vogliano avvicinarsi a questa affascinante disciplina. In Umbria, l'inaugurazione del 15 Gennaio scorso è stata salutata all'osservatorio dell'Istituto ITIS Volta di Perugia, intitolato ad Ignazio Danti. Nel sito dell'osservatorio, www.planetariodanti.pg.it, è possibile consultare un dettagliato elenco delle varie associazioni astronomiche, degli osservatori e degli enti umbri che partecipano all'evento, e sono elencate una serie di interessanti iniziative che coinvolgono la nostra regione per tutto l'arco dell'anno. In conclusione, sembrerebbe proprio che il 2009 sia l' anno in cui vedremo le stelle.
Daniela Querci(da: il Corriere dell'Umbria - 19/01/2009)

SAN GIUSTINO E CALVI DELL'UMBRIA: QUANDO IL SOLE NON E' UGUALE PER TUTTI






PERUGIA - Oggi a San Giustino (Pg), il giorno durerà 8 minuti in meno che a Calvi dell'Umbria (Tr). In realtà è dal mese di Ottobre che il sole di San Giustino, mettiamola così, “accumula ritardo” su quello di Calvi dell'Umbria. Da allora, la durata media del giorno nel comune più settentrionale della nostra regione, rispetto a quello più meridionale, è passata per i 6 minuti in meno di Novembre, ha la sua punta massima in questi giorni, e poi comincerà a calare, fino al mese di Marzo. Per la precisione fino al 21 Marzo, quando la luce del sole illuminerà per 12 ore precise entrambe le località. Ma i sangiustinesi non hanno di che allarmarsi. Innanzitutto, in questi mesi invernali possono contare su notti più lunghe rispetto ai loro vicini calvesi. Magra consolazione, ma la par condicio va rispettata, e quindi – in totale - le 24 ore devono essere sempre uguali per tutti. E inoltre, da Aprile in poi, le cose si ribaltano. Durante i mesi primaverili ed in estate la durata media del giorno sarà maggiore a San Giustino che a Calvi dell'Umbria, con un picco massimo nel mese di Giugno, quando la cittadina dell'alta valle del Tevere godrà – in media – di 8 minuti di luce in più rispetto alla sua controparte nella provincia di Terni, pareggiando – per così dire – i conti.
E' TUTTA UNA QUESTIONE DI INCLINAZIONI – Sappiamo tutti che la durata del giorno e della notte dipendono dalla posizione sulla superficie della Terra. E anche in una piccola regione come l'Umbria, dove le distanze fra un luogo e l'altro sono insignificanti se paragonate alle dimensioni terrestri, le diverse collocazioni geografiche determinano alcune differenze in questo senso. E tutto per una questione di inclinazioni. In effetti, si può senz'altro dire che anche la Terra, come ognuno di noi, ha le sue. La più importante di queste inclinazioni, è quella che il nostro pianeta determina rispetto al piano su cui orbita intorno al Sole. E' come se la Terra girasse intorno alla sua stella mantenendosi un po' inchinata, quasi in un atto di dovuta riverenza nei confronti dell'incontrastato sovrano del nostro sistema planetario. E' questa inclinazione che causa la diversa durata del giorno e della notte. Se non ci fosse, a San Giustino e Calvi dell'Umbria – come in ogni altro punto della superficie terrestre - per tutto l'anno la luce e il buio avrebbero la stessa lunghezza. E non ci sarebbero le stagioni. L'unica differenza sarebbe data dalla curvatura della Terra – sua seconda inclinazione in ordine di importanza – che determina un diverso angolo di incidenza dei raggi solari procedendo dall'equatore ai poli. Nel nostro emisfero, la luce ed il calore forniti dal Sole risulterebbero tanto minori quanto maggiore è la distanza verso Nord dall'equatore. Ma nella stessa località sarebbero costanti tutto l'anno.
LUCE E BUIO: PERENNEMENTE IN GARA – Solo due volte all'anno il giorno e la notte arrivano pari sulla linea del traguardo: il 21 Marzo ed il 23 Settembre. In tutti gli altri momenti, luce e buio hanno la stessa durata esclusivamente lungo l'equatore, mentre a Nord e a Sud hanno lunghezza diversa.
La differenza si fa sempre più grande andando verso i poli, ed è rilevabile anche fra località molto vicine fra loro, come Calvi dell'Umbria e San Giustino, che in linea d'aria distano poco più di 135 Km. Unicamente nei giorni degli equinozi (21 Marzo e 23 Settembre) l'inclinazione della Terra rispetto al Sole si annulla, perciò la luce batte a picco sull'equatore, e sfiora radente ai poli. Invece ai solstizi (21 Giugno e 22 Dicembre), i raggi del Sole sono perpendicolari ai tropici: al Tropico del Cancro nel solstizio d'estate, e a quello del Capricorno nel solstizio d'inverno. Nel primo caso, tutti i punti a Nord dell'equatore restano illuminati per un periodo di tempo più lungo, e al buio per un periodo di tempo più breve. Nel nostro emisfero quindi, la durata del giorno è maggiore di quella della notte, e la differenza aumenta andando verso Nord. Basti pensare che la calotta artica resta illuminata durante tutta la rotazione che la Terra fa intorno a se stessa, e cioè per 24 ore. Al contrario, nel solstizio d'inverno, quando i raggi del Sole sono perpendicolari al Tropico del Capricorno, nel nostro emisfero il giorno dura meno della notte, e la calotta artica resta completamente al buio. Noi adesso abbiamo passato da poco il solstizio d'inverno. La durata del giorno ha ricominciato ad aumentare e quella della notte a diminuire, ma bisognerà aspettare fino all'equinozio di primavera perché si eguaglino. Dal 22 Dicembre al 21 Marzo la notte sarà sempre più lunga del giorno, ma il giorno pian piano acquisterà terreno sulla notte. Il 21 Marzo giorno e notte dureranno entrambi 12 ore, a San Giustino come a Calvi dell'Umbria, e in ogni altro luogo sulla Terra. Dal 21 Marzo al 21 Giugno il giorno continuerà ad aumentare rispetto alla notte. Dal 21 Giugno in poi ricomincerà a calare, ma fino al 23 Settembre sarà sempre più lungo della notte. Il 23 Settembre giorno e notte saranno di nuovo uguali. Dal 23 Settembre al 22 Dicembre la notte sarà sempre più lunga del giorno, e aumenterà sempre.
TUTTO E' RELATIVO – E in particolar modo il tempo. Il nostro sistema di calcolo del tempo si basa da sempre su due passaggi consecutivi del Sole nella stessa posizione del cielo. E' chiamato tempo solare vero, e il punto preso in considerazione è il più alto nell'arco apparente che la nostra stella compie dall'alba al tramonto. Fra questi due momenti, la Terra ruota completamente su se stessa, e passano 24 ore. Ma oggi a San Giustino il sole è sorto alle 7:41, mentre a Calvi dell'Umbria alle 7:35. Quindi il Sole raggiungerà il culmine del suo arco con qualche minuto di scarto nelle due località. E le differenze aumentano se si considerano – ad esempio – il comune più orientale e quello più occidentale dell'Umbria, che sono rispettivamente Norcia (Pg) ed Allerona (Tr). In questo caso infatti, prendono più importanza le distanze Est-Ovest che quelle Nord-Sud, ed anche la diversa altitudine sul livello del mare acquista un certo peso. Quindi il tempo solare vero è differente in ogni località della Terra, e varia di qualche minuto anche fra luoghi come Norcia ed Allerona, distanti meno di 100 Km in linea d'aria, e con un dislivello di soli 130 metri. Ma usare il tempo solare vero ci catapulterebbe in una vera Babele di orari, dove sincronizzarsi diventerebbe impossibile. Perciò ci siamo adattati. Adeguandoci alle convenzioni che scaturiscono dall'idea avuta da Quirico Filopanti nel XIX secolo. Per adottare un sistema di misura del tempo utilizzabile in ogni luogo della Terra, l'astronomo italiano immaginò di dividere la superficie del pianeta in 24 spicchi, detti fusi orari. Ogni spicchio ha una larghezza di 15°, e fra l'uno e l'altro la differenza di tempo è di 1 ora. All'interno di ogni fuso, si utilizza il tempo, detto civile, che corrisponde al centro del fuso. In Italia, il centro del fuso passa per il cono vulcanico dell'Etna, e là il tempo solare vero corrisponde a quello civile adottato in tutto il paese. Il fuso orario dell'Italia è in anticipo di 1 ora rispetto a quello del fuso immediatamente ad Ovest, che è stato preso come primo fuso di riferimento, ed il cui centro passa per Greenwich (Inghilterra). Il tempo di Greenwich è stato denominato Tempo Universale, mentre il nostro è il Tempo medio civile dell'Europa centrale, che abbiamo in comune non solo con gran parte dell'Europa, ma anche con paesi dell'Africa, come il Niger, l'Angola e la Namibia. Da sotto l'equatore in giù però, le stagioni sono invertite, e nei paesi che adottano l'ora legale, essa viene applicata nei periodi speculari ai nostri.
Come se non bastasse poi, il tempo solare su cui si basa quello civile dei fusi orari, non è in perfetta sincronia con il tempo siderale (calcolato su due passaggi consecutivi di una stella diversa dal Sole nella stessa posizione del cielo). E' da qui che deriva il tanto declamato secondo in più, applicato il 31 Dicembre scorso agli orologi di tutto il mondo allo scoccare della mezzanotte. Si chiama “secondo bisestile” o “secondo intercalare”, e non è la prima volta che ce lo mettono in conto. Dal 1972 ad oggi, è la 24esima volta che viene aggiunto. Se il tutto risultasse un tantino complicato da digerire, consoliamoci pensando che – a fasi alterne – ognuno di noi avrà sempre qualche minuto in più per... dormirci sopra.
Daniela Querci - 05/01/2009

IL PIU' ANTICO ATLANTE DEL MONDO IN MOSTRA A PERUGIA





PERUGIA - Il primo atlante geografico mai realizzato è in città. In esposizione fino al 10 gennaio nelle sale della Biblioteca Augusta, il “Theatrum Orbis Terrarum” di Abramo Ortelius, impreziosisce una collezione di raffinate opere cartografiche e testi storici e religiosi, intitolata “Palestina sive Terra Sancta”. Nell'ambito della mostra, il capolavoro cartografico del maestro fiammingo del 1500 si inserisce come uno degli indispensabili strumenti per descrivere l'itinerario del cammino liturgico dal XV al XVII secolo.

IL BOOM EDITORIALE DEL XVI SECOLO – Non fu un romanzo, né un libro giallo. Ma proprio l'atlante di Ortelius. L'idea di raccogliere in un testo unico le carte geografiche del mondo conosciuto si deve infatti a lui, che riunì 70 differenti mappe, riportandole alla stessa scala ed integrandole con le più recenti notizie geografiche del tempo. Dato alle stampe per la prima volta nel 1570, l'atlante ebbe un enorme successo editoriale. E se si pensa al contesto storico in cui è collocato, è facile capire il perché. Sfogliarlo doveva procurare vere e proprie emozioni. I continenti, i mari e gli oceani erano finalmente inquadrati in un'unica, grande rappresentazione globale, che forniva la prima visuale completa della superficie della Terra. Vi si poteva trovare ogni luogo del mondo conosciuto, precisamente indicato e descritto. Era possibile calcolare le distanze di qualunque itinerario di viaggio, studiare i percorsi e decidere le tappe. E quindi tutti volevano averlo. Nel giro di 10 anni fu pubblicato in 7 lingue, fra cui anche l'Italiano, ed in totale fu ristampato in 36 edizioni. Dal 1583 (l'edizione in esposizione a Perugia è del 1592) Ortelius completò l'opera con un supplemento chiamato “Parergon”, composto da un insieme di tavole storiche, che può essere considerato come il primo tentativo di produrre una carta tematica, allo scopo di utilizzare la geografia come base per inquadrare i fatti storici. Le tavole non sono l'unica particolarità descrittiva dell'atlante. L'opera comprende anche il “Catalogus Auctorum”, un dettagliato elenco di indicazioni bibliografiche, unico e primo nel suo genere, dalle quali è possibile risalire alle fonti delle diverse carte, ed al nome dei geografi, dei cartografi e dei navigatori che Ortelius consultò per rendere più accurate e precise le mappe.

DISTORSIONI GEOGRAFICHE – L'atlante di Ortelius ci illustra un mondo geograficamente molto diverso da quello che oggi conosciamo. L'Italia è distorta, stirata a causa di alcune imperfezioni negli elementi di longitudine e latitudine, che danno come risultato l'aumento della lunghezza del Mediterraneo di quasi un terzo. Per adattarsi al bacino, la nostra penisola si protende nel mare con direzione Nord-Sud anziché Nord Ovest – Sud Est. La deformazione si fa sempre più evidente procedendo verso la parte meridionale. Il Gargano è posizionato sullo stesso parallelo di Napoli ed Otranto; il golfo partenopeo è quasi sul medesimo meridiano di Reggio Calabria, e anche Taranto e Vasto condividono la stessa longitudine, come il Gargano e Brindisi. Le carte raccolte nell'atlante di Ortelius derivano essenzialmente dal sistema di rappresentazione cartografica elaborato da Tolomeo, il grande astronomo, matematico e geografo greco del II secolo. La mostra espone anche una versione del 1562 della “Geographia” di Tolomeo. L'opera – tenuta fortemente in considerazione dai cartografi del tempo – descrive in dettaglio le regole per proiettare sul piano il globo terrestre, in modo da poter costruire le carte geografiche. Per formularle, Tolomeo applicò alla superficie della Terra un sistema di localizzazione analogo a quello utilizzato per il suo indimenticabile modello astronomico, basato sulla concezione geocentrica dell'Universo. Nella rappresentazione tolemaica, i pianeti ruotavano attorno alla Terra immobile seguendo regole estremamente complesse, ma che riuscivano a riprodurre con soddisfacente precisione il moto apparente della Luna, del Sole e degli altri corpi celesti conosciuti.
DIRITTI D'AUTORE E RIVALITA' PROFESSIONALI – All'atto della prima pubblicazione della sua opera, Ortelius ottenne il monopolio per gli atlanti. Questa sorta di diritto d'autore impedì per un certo periodo ad altri cartografi di divulgare i propri lavori. Ma il progresso non si può imbrigliare con disposizioni legali e regole commerciali, e la scuola cartografica fiamminga aveva altri elementi in grado di contribuire allo sviluppo della conoscenza. Il nome “atlante”, ad esempio, si deve all'immagine collocata sul frontespizio di una collezione di mappe terrestri del grande Gerardo Mercatore, amico e rivale professionale di Ortelius. Vi è raffigurato Atlante, il re della Mauritania, valente astronomo e cartografo. Il nome non sembra quindi essere legato – come comunemente si crede - al mito del gigante condannato da Zeus a reggere il mondo. L'edizione completa dell'atlante di Mercatore apparve postuma, nel 1602, ma il cartografo diede il nome ad una delle più geniali tecniche di proiezione sul piano della superficie terrestre, che porta ancora il suo nome. Ed è talmente precisa da venire tutt'ora utilizzata dall'Istituto Geografico Militare di Firenze per la costruzione della Carta Topografica d'Italia.

DA DRAGHI E MOSTRI MARINI AI SISTEMI SATELLITARI – “L'uomo ha sviluppato tre grandi forme di comunicazione: il linguaggio, la musica e la cartografia. Quest'ultima è di gran lunga la forma di comunicazione più antica” (da “The Times”, 1992). In effetti, le prime carte geografiche conosciute risalgono addirittura al 2300 a.C., e sono attribuite ai Babilonesi. Nel corso della storia, mappe e cartine sono state prodotte sui più disparati supporti, dalla pergamena di pelle di pecora alla ceramica e alle lastre di rame, fino alla grande svolta della carta stampata. E anche i contenuti hanno compreso descrizioni varie – e spesso alquanto fantasiose – di luoghi e zone geografiche. Nel mappamondo di Lenox, datato ai primi anni del 1500, compare una delle diciture più famose nell'ambito delle descrizioni cartografiche: “hic sunt dracones”, davanti alle coste orientali dell'Asia, per indicare territori pericolosi e inesplorati. Non si contano poi i mostri marini e le isole fantastiche disegnati per riempire le zone sconosciute dell'Oceano Atlantico, oltre la longitudine delle Isole Canarie e delle Azzorre, fino a tutto il XV secolo, quando Colombo scoprì le Americhe. Grazie alle grandi conquiste dell'esplorazione ed ai rivoluzionari sistemi di proiezione geografica del XVI secolo, la cartografia è entrata nella sua era moderna, e fino all'ultimo decennio del secolo appena trascorso si è fortemente sviluppata sulle basi classiche che la fondano. Ma oggi il suo progresso è radicalmente cambiato. I sistemi satellitari del tipo Global Positioning System governano indiscutibilmente i dati cartografici contemporanei, e l'enorme potenziale dei computer ha portato allo sviluppo di una nuova serie di strumenti di studio - che collettivamente vengono chiamati Sistemi Informativi Geografici (GIS) - in grado di intrecciare le informazioni catalogate da diverse organizzazioni di ricerca per produrre carte con dettagli e definizioni sbalorditive. Le mappe informatiche non hanno comunque perso l'eleganza ed il fascino delle loro antiche antenate. Non a caso la cartografia è stata definita come la più scientifica delle arti e la più artistica delle scienze. E la produzione contemporanea ci tiene a dimostrarlo ancora.
Daniela Querci(da: il Corriere dell'Umbria - 29/12/2008)